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Contratto narrativo: patto tra pubblico e narratore

Quando il pubblico decide di sospendere la propria incredulità decide di credere alla storia che gli viene narrata e stabilisce con il narratore il cosiddetto contratto narrativo. Il contratto è un accordo che in una storia ben realizzata deve valere fino alla fine della narrazione. Questo è il tema che affrontiamo qui.
Non è facile svelare la realtà nella finzione di un racconto e chi narra può ben considerare la possibilità di guidare il proprio interlocutore verso un obiettivo prestabilito. Questo è bene o male? Dipende.

Ormai è certo che le sequenze narrative, ragionate e sviluppate con un inizio, uno sviluppo e una fine, stanno sostituendo le campagne pubblicitarie. Quindi chi costruisce una storia potrebbe anche avere qualche obiettivo in mente da trasmettere al suo pubblico. Ma così è sempre stato, almeno dai tempo dei testi epici (l’Eneide scritta per piacere alla Gens romana, l’Iliade e l’Odissea per esaltare le doti dei greci antichi…) o dei grandi romanzi ottocenteschi. A quell’epoca il contratto narrativo era sempre molto presente all’inizio della progettazione dell’opera.coleridge

Coleridge fu il primo a descrivere la sospensione dell’incredulità del lettore. Per questo grande scrittore del genere fantastico, era l’atteggiamento più adatto per appassionarsi a un’opera. Lui parlava di Willing suspension of disbelief ovvero di Deliberata sospensione dell’incredulità.
Una sospensione deliberata perché spontanea. Un blocco emotivo all’umano scetticismo che è la parte più razionale che fa scoprire, a indagare con raziocinio, con la ragione così lontana dal mondo della magia e dell’ignoto.

La società ogni giorno ci offre informazioni, immagini, suoni, audio e video che possono far sembrare la fantasia parte della realtà. Gli usi strumentali della narrazione a fini di gestione o di controllo finiscono per denunciare il contratto narrativo e impongono al pubblico ciò che lo storytelling management vuole che si trasmetta. In barba alle esperienze e alla sospensione di incredulità.

Ecco alcuni esempi nel nostro vivere quotidiano: 1) pubblicità che tralasciano l’ironia quando esaltano un prodotto in sequenze narrative studiate in seriale (auto che promettono e non mantengono, lamette da barba che tagliano ma non giustificano il loro costo…); 2) politici che presenziano e raccontano storie senza badare al fine ultimo della loro funzione per la collettività: il benessere del cittadino; 3) professionisti (avvocati, medici, commercialisti, magistrati…) che per fini interessi di casta o ordine preferiscono tralasciare certe storie e evidenziarne altre, spesso mettendo in crisi la libertà di essere protetti e informati in maniera obiettiva e corretta; 4) i giornalisti che sono sempre in numero ridotto rispetto agli addetti stampa, public & media relation, con il risultato che sarà curata meglio l’immagine di una parte invece che informata la collettività…

Un’onesta affabulazione guida il pubblico di una storia ben narrata verso un livello profondo di conoscenza. Lo guida verso un nuovo modo di essere.

Riassumendo:
– l’emotività viene stimolata dalla buona narrazione lasciando che il pubblico sospenda l’uso della ragione;
– per rendere universale una storia occorrono metafore e simboli;
– il miglior mezzo di emozionare il proprio pubblico è usare simboli con un piano di sviluppo onesto e verosimile.

Costruendo e narrando così la nostra storia riusciamo a incidere il substrato della mente più profondo del nostro interlocutore: l’inconscio.

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