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La percezione del prodotto e l’etica della pubblicità

Da tanto tempo, forse già dagli antichi romani, la comunicazione serve a creare consenso intorno a obiettivi di marketing per trasformare in positivo l’atteggiamento verso un prodotto, un servizio o una persona. Fino a che punto siamo arrivati?Le prime forme di comunicazione pubblicitaria furono quelle di natura politica. All’epoca dell’antica Grecia e del Sacro Romano Impero, come oggi, era fondamentale spostare il consenso per attribuire un maggiore valore sociale a un prodotto, a un servizio o a una persona. Tutto questo però ha un prezzo: da una parte quello degli esperti di marketing, dall’altra quello sociale, etico, quello che riguarda i valori morali della comunicazione prodotta, un prezzo che si calcola in una resa a lungo termine del marchio (o individuo) reclamizzato.

Nella comunicazione, però, niente cambia nel tempo e molto si aggiunge. Le abitudini e gli atteggiamenti della massa critica contribuiscono a far nascere nuove esigenze nel modo di fare propaganda. uomo tenuto sospesoOggi l’utente finale deve essere fidelizzato e non solo conquistato. Come fare? Il modo più usato è informarlo a più-non-posso con messaggi TV, radio, con affissioni e cartellonistica, via internet su telefonini, tablet e computer. Il pubblico generico viene bombardato da pubblicità con la quale qualcuno ritiene ancora possibile acquisire clienti e tenerli stretti al marchio nel corso del tempo, fidelizzarli.
Possibile che questo sia il modo giusto? Sì, ma solo nel caso in cui una buona parte di questa informazione di propaganda fosse trattenuta nella nostra memoria, come ricordo. Ma questo accade solo in certi specifici casi e in contesti specifici. Per esempio se il convincimento è tale da seguire i 3 passaggi fondamentali dell’engagement, cioè del coinvolgimento dell’interlocutore:

1. Associazione
2. Rinforzo
3. Motivazione

Le emozioni alterano il nostro equilibrio e possono farci cambiare comportamento di consumo. Quando si racconta una storia si mira a questo, a emozionare. Più si costruisce la storia seguendo le regole alle quali ci ha abituato la nostra cultura nei secoli (fabula, ambiente, punti di vista, contesto…), più si trasmette all’interlocutore ciò che si aspetta.
La percezione della realtà da parte del consumatore è guidata da chi costruisce le storie, chi fa marketing deve conoscere il modo di aggiustare una storia sulla lunghezza d’onda più adatta al suo cliente.
Oggigiorno il politico vende soprattutto l’immagine di se stesso, fonda la sua campagna su un acquisto di impulso, strettamente legato alle emozioni dell’elettore. Ed ecco perché si fanno nascere in TV sempre più conflitti, meglio se sfociano in risse… per spingere a prendere parte d’impulso, senza troppo ragionare.

Così accade anche nel consumo di servizi, ad esempio nelle offerte vacanziere (una donna bellissima svestita e una spiaggia da sogno, invece che un tramonto) e in quello dei prodotti (un’automobile ad esempio può diventare parte della vita, più importante di moglie e figli o l’assistente per recuperare la tua immagine). E’ evidente il ruolo principale delle emozioni. Ed ecco che l’emisfero destro (emotivo-intuitivo) del cervello si attiva, a discapito del sinistro (logico-deduttivo) che porterebbe al maggior utilizzo della ragione.
Le storie sono parti della nostra cultura, la conoscenza che si trasmette. Il racconto di una storia è dentro la realtà che viviamo, all’interno dei discorsi dei nostri antenati (Dickens, Omero, Aristotele, i primi graffitari nelle grotte di Lascaux…), uno strumento nel quale riconoscere i contenuti oltre le tecniche usate. Seguendo la fabula, percependo il punto di vista, ignorando o compiacendosi (perché no!) degli stili utilizzati… una storia fatta di contenuti verosimili serve a convincere al di là del valore intrinseco del prodotto o del servizio o della persona, se vogliamo parlare ancora di propaganda politica.
L’unica via per non venire imbrogliati, persuasi, condotti malgrado il nostro volere, è conoscere i segreti della comunicazione maturati da secoli e secoli con il racconto. Il discorso vale di sicuro per la comunicazione pubblicitaria, ma stiamo attenti anche a come ci parlano i nostri parenti, amici, colleghi, capi o il commesso del negozio sotto casa…
Tutti loro metteranno al centro del discorso i contenuti senza enfasi o giri di parole? Rispettando la fabula del loro racconto e ponendo in primo piano l’obiettivo da comunicare, riusciranno ancora a persuaderci a far qualcosa?

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